Quaderno 36 - page 9

ORIENTAMENTO E SCUOLA
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nore), il secondo si trasforma nella
ricerca di un colpevole.
Esercizio dagli scarsi risultati prati-
ci. Oggi si ritiene più utile ed adegua-
to per innestare un cambiamento
nel comportamentodell’allievo, pen-
sare ad un  ragazzo che“fa”qualcosa,
ovvero che è capace di agire inten-
zionalmente, piuttosto che pensare
ad un ragazzo a cui “è stato fatto”
qualcosa, vittima di cause biografi-
che o patologiche (peraltro indivi-
duate sempre post hoc). Cause che
in certi casi sembrano appartenere
più alle categorie conoscitive del tec-
nico che alla realtà del ragazzo.
NORMA: MEZZOO FINE?
Ogni dimensione organizzativa,
necessariamente, congela la realtà
per poterla gestire. Programmi, pro-
cedure, norme e ruoli servono anche
a questo. Ma gli insegnanti, doven-
do modellare i propri atti conoscitivi
su un mondo in trasformazione e in
relazione a individui tra di loro diver-
si, possono trovarsi inibiti o addirit-
tura coartati rispetto ad un’organiz-
zazione che non può ospitare troppa
iniziativa personale e tende ad uni-
formarla. Se ogni discorso è un di-
scorso dell’osservatore, bisogna che
l’osservatore, in questo caso l’inse-
gnante, sia in grado di muoversi su
sistemi mentali altrui per adattarli a
certe uniformità necessarie alla tra-
smissione transgenerazionale del
sapere, dell’identità culturale e delle
competenze sociali e tecniche. In
quanto osservatore che deve in-
fluenzare un sistema in evoluzione,
non può prescindere dal conoscere i
processi che regolano questo siste-
ma, anche quando questi processi
debbano essere corretti perché di-
sfunzionali o inadeguati. Nel far ciò
non può prescindere dai bisogni, in-
tenzioni, credenze e modelli del ra-
gazzo, perché solo utilizzando que-
ste forze può generare un cambia-
mento nella direzione voluta, per un
adattamento personale e scolastico
individualmente ottimale.
Se l’insegnante guarda al ragazzo
attraverso le sue categorie, per esem-
pio quelle normative che gli impon-
gono unmodello di mondo, un crite-
rio di giudizio e il valore dei mezzi ri-
spetto ai fini, è evidente che “la nor-
ma” non è un mezzo, ma un fine che
sovrasta ogni flessibilità conoscitiva
di chi insegna. Abbiamo bisogno di
norme, ma bisogna capire quando le
norme divengono un criterio cono-
scitivo che struttura i discorsi che fac-
ciamo su noi stessi, sugli altri e sulla
realtà, scambiando questi discorsi
per entità vere e sostanziali. Per nor-
ma non intendo solo la norma mora-
le o le regole, ma in particolare le as-
sunzioni di principio che guidano le
nostre percezioni, le azioni e come
parliamo del mondo.
Tanto per fare un esempio, pen-
siamo al prototipo di tutti i bambini
discoli e devianti, cioè a Franti,
l’eroe negativo del libro “Cuore”. Ed-
mondo De Amicis, era uno che oggi
diremmo di simpatie progressiste e,
come tale, aderiva al positivismo
sociale, peraltro ispiratore anche di
Cesare Lombroso, il sostenitore del-
le ferree leggi del determinismo
biologico e sociale sul comporta-
mento, ovvero del peso inesorabile
e immodificabile delle cause. Un
certo positivismo ingenuo ottocen-
tesco lo stiamo scontando ancora
oggi nel nostro modo di affrontare i
problemi sociali e psicologici. Modo
positivista di spiegare (o di inter-
pretare) gli eventi che, se non trova
più una presenza nelle scienze so-
ciali e nella ricerca più avanzata, do-
mina ancora quel misto di senso
comune e di psicologismo, mesco-
lanza di psichiatrese e psicoanalese
intriso di supposizioni e spiegazioni
causali.  La madre, il padre, la fami-
glia, l’ambiente, divengono le enti-
tà che spiegano ogni biografia pro-
blematica e ad esse rinviano ogni
soluzione, il più delle volte imprati-
cabile.
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