che consiste nell’essere contempo-
raneamente individuo-società-
specie” [...] “Ogni sviluppo vera-
mente umano deve comportare il
potenziamento congiunto delle
autonomie individuali, delle par-
tecipazioni comunitarie e della
coscienza di appartenere alla
specie umana” [...] per “portare a
compimento l’umanità come co-
munità planetaria. Facendo in
modo che si concepisca la terra
come una patria unica”. Dob-
biamo imparare ad “esserci” sul
pianeta. Imparare ad esserci si-
gnifica imparare a vivere, a con-
dividere, a comunicare, a essere in
comunione, è quanto si imparava
soltanto nelle e con le culture sin-
golari. Abbiamo bisogno ormai di
imparare a essere, a vivere, a con-
dividere, a comunicare, essere in
comunione anche in quanto
umani del pianeta Terra. Non
dobbiamo più essere solo di una
cultura, ma anche esseri terre-
stri”.
La comunicazione assume un
ruolo centrale già nella moder-
nità ma oggi, nel contesto post-
moderno, anch’essa non può es-
sere acquisita come mera tec-
nica. Il dialogo autentico è ele-
mento di un contesto comunica-
zionale sempre più centrato sul
soggetto (con chi scambio) che
sull’oggetto (cosa scambio) e
segna un passaggio da una co-
municazione funzionale tipica
dell’era moderna, ad una sempre
più relazionale caratteristica
dell’era più attuale contempo-
ranea. Questa forma di dialogo è
dunque una modalità di comuni-
cazione accogliente dell’alterità
in tutte le sue forme che si apre
alle possibilità di contatto e di
mutua fecondazione. Esso (come
afferma R. Panikkar) lascia ca-
dere il senso di vendetta dell’”oc-
chio per occhio” in cambio del
coraggio dell’”occhio a occhio”.
L’obiettivo di questa convivenza
non è cercare chi ha ragione o
torto, chi vince o chi perde, chi
ha il voto più alto, ma trovare il
modo di capire, di compren-
dersi, di immaginare cosa sta vi-
vendo il mio interlocutore e di
collaborare con esso. Essa non
con-vince l’Altro in modo dialet-
tico e si fonda sulla fiducia reci-
proca e sulla capacità comune di
avventurarsi nell’ignoto. Questo
modo di accogliere l’Altro non
può verificarsi nell’arena della
logica, della lotta tra idee, ma
nell’agorà dell’incontro tra per-
sone che parlano ed ascoltano e
sono consapevoli di essere qual-
cosa di più che semplici mac-
chine pensanti.
Molti sono gli studi pedagogici e
le sperimentazioni didattiche
poste in essere dai ‘professio-
nisti pionieri’ anche a livello in-
ternazionale, miranti a meglio,
definire una tipologia educativa
centrata sul contatto Sé-Altro e
denominata interculturale ma si
è ancora molto lontani da porla
in essere. Il limite reputo sia du-
plice: da un lato tale educazione
risulta poco conveniente alle lo-
giche di mercato e di governo in
quanto forma delle persone più
libere di pensare, di sentire e
dunque di scegliere. Maggiore è
la consapevolezza, più l’agire in-
dividuale si discosta dai mecca-
nismi reattivi e dai condiziona-
menti sociali. Gli individui ri-
sultano così meno controllabili,
meno addomesticabili nel ruolo
di consumatori, capaci per
esempio di contattare i propri
bisogni reali e dunque più diffi-
cilmente preda della fascina-
zione mass-mediologica. L’altra
difficoltà si riconnette al fatto
che la scuola nel suo ruolo di or-
gano riproduttivo del sociale
tende a riprodurre anche le ne-
vrosi diffuse. Ciò genera un cir-
colo vizioso di relazione scuola-
società che pare clonarsi all’infi-
nito. Per uscire da tale vortice si
necessita di uno sforzo, uno
scatto deciso che possa partire
dalla base, da parte di persone
motivate e capaci cambiare. Ge-
nitori, insegnanti, educatori che
si rendano disponibili al rinno-
vamento, a cambiare la qualità
della scuola mettendosi in gioco
in prima persona e creando
massa critica. Intendo dire che
si necessita di una nuova e di-
versa formazione dei formatori,
che non si risolva nell’impartire
nuove nozioni a livello tecnico o
puramente teorico. In genere, gli
insegnanti sono già grandi
esperti della loro materia ed
hanno già subito mille forma-
zioni in cui si è spiegato loro
come ‘fare’. In tal caso, non si
tratta di modificare l’azione, la
superficie, il ‘fare’ ma di trasfor-
mare la sostanza, di scoprire
l’essere, di migliorare la co-
scienza, la comprensione. Signi-
fica creare, per gli insegnanti,
delle opportunità anzitutto di
lavoro su se stessi (accoglienza
dell’Altro interno) e sulle moda-
lità di ‘dialogo autentico’ con
l’Altro esterno (l’alunno). Oggi
le possibilità sono maggior-
mente tangibili per esempio (ma
non solo) grazie anche al sempre
più diffuso counselling (rela-
zione d’aiuto) per genitori, edu-
catori ed insegnanti che per-
mette di acquisire consapevo-
lezza ed abilità relazionali. Non
si può in sintesi ‘fare’ dialogo
autentico, non si può ‘fare’ acco-
glienza, non si può ‘fare’ inter-
culturalità né tantomeno inse-
Orientamento e scuola
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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