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QUADERNI DI
ORIENTAMENTO 50
riflettere suggerisce la produzione di
un’immagine allo specchio che diviene
un’opportunità per l’individuo di osser-
varsi, di prendere in esame ciò che è o
che sta facendo e come lo sta facendo.
In altri termini, si diventa “osservatori
di se stessi” e delle proprie pratiche fa-
cendo emergere ed esplorando così ciò
che George Mead chiamava
immagine
di sé
per poi acquisire la
consapevolez-
za di sé
nel momento in cui si prende
atto anche del grado di riconoscimento
o di conferma della nostra immagine
da parte di “altri significativi”. Questo
processo di riflessione rappresenta un
primo passo con cui rendersi conto e
prendere atto anche del proprio patri-
monio psicosociale disponibile, più o
meno ampio.
L’auto-riflessività è il passo successivo,
quello in cui si mettono in discussione
le preoccupazioni, le paure, i punti di
vista usati più di frequente, i temi di in-
teresse per la propria vita che sono più
ricorrenti, i modi di fare e di essere, va-
lutando il loro grado di corrispondenza
e di adeguatezza alle domande che pro-
vengono dall’esterno (ad esempio, dal
contesto lavorativo) o dall’interno (de-
sideri, preferenze, aspettative, progetti
iniziali, ecc.). Riconoscere una distanza
tra ciò che si possiede in termini di risor-
se psicosociali, conoscenze e capacità e
ciò che sarebbe necessario in un dato
contesto costituisce una potente spinta
motivazionale per cercare di colmare il
gap
mettendo in atto strategie adatte a
superare gli ostacoli personali o sociali
che si sono frapposti.
Seppure non sia facile sottoporre a
vaglio critico le proprie percezioni (ad
esempio, la percezione di occupabili-
tà), le interpretazioni e credenze con-
solidate dall’esperienza, la riflessività
può diventare uno strumento cognitivo
importante, applicabile ricorsivamente
per autoregolare i propri cambiamenti
(di atteggiamenti, di progetti, di modi
di impegnarsi, di conoscenze e com-
petenze, ecc.) e non effettuarli solo
per costrizione, in risposta a pressioni
esterne. Naturalmente, questo obiettivo
non è sempre «da tutti apprezzato (ad
esempio, se non ci sono motivazioni ad
uscire dalle
routines
consolidate) o non
facilmente praticabile, senza specifici so-
stegni, dalle persone con scarse risorse
educative e socio-culturali o in condizio-
ni di particolare svantaggio nei contesti
di lavoro» (Sarchielli, 2017); inoltre esso
risulta ancora troppo poco considerato
negli stessi contesti scolastico-formativi
e di socializzazione al lavoro che dovreb-
bero rendere agevole o consolidare tale
modalità di pensiero critico costruttivo.
Questa operazione autoriflessiva può
essere sostenuta anche dall’interazione
con gli altri cioè in una “conversazione”
mirata alla ricerca di significati dell’e-
sperienza che possono essere validati
insieme e giustificare cambiamenti si-
gnificativi di aspetti più o meno ampi
del
self.
Al riguardo basterà un esempio. Se
pensiamo a una normale esperienza di
counselling
psicologico riconosceremo
in pratica una simile logica auto-riflessi-
va che, di fatto, non fa che rendere psi-
cologicamente salienti e strutturare me-
glio le modalità naturali di pensiero co-
munemente adottate per riorganizzare
l’esperienza, ricostruire il suo significato
e ricavare orientamenti per l’azione (To-
ros e Medar, 2015). Infatti, al di là delle
differenze di approccio teorico-pratico,
il counselling riguarda una relazione
interpersonale con un professionista
(in particolare, uno psicologo) che si
focalizza,
in primo luogo
, sul compito
condiviso di far emergere dalla persona
rappresentazioni significative della sua
esperienza, di riflettervi esaminandole
con attenzione per riconoscere, oltre alla
sequenza dei fatti, le reazioni emozionali
che provocano, le credenze (più omeno
corrette) con cui si tende a giustificarli,
le carenze personali nello svolgimento
delle esperienze richiamate, ma anche
le competenze inespresse o altre risorse
psicosociali presenti, ma congelate o
sottovalutate.
In secondo luogo
, que-
sta relazione dialogica è orientata a:
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