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QUADERNI DI
ORIENTAMENTO 50
skills che devono essere incentivate per
corrispondere alle esigenze del merca-
to del lavoro e che possono divenire
obiettivi di apprendimento dei percorsi
formativi. In questo caso si può parlare
più propriamente di
working-readiness
per segnalare l’importanza di possedere
precocemente competenze trasferibili
da un lavoro all’altro e di superare il
gap
tra ciò che una persona sa e sa fare e
ciò che in concreto viene richiesto dalle
organizzazioni. In tal senso una buona
working-readiness
implica, accanto a
una expertise tecnica, una preparazio-
ne mirata al possesso di conoscenze
di base, pensiero critico e competenze
personali e sociali di tipo trasversale per
accedere al lavoro e mantenere l’occu-
pazione.
Se ci si riferisce al
punto di vista delle
organizzazioni
si deve tener conto dei
cambiamenti in atto che inducono a
forzare la loro competitività attraverso
l’adattabilità e la flessibilità funzionale
dei loro assetti anche rispetto alla for-
za lavoro. Esse intendono trovare un
soddisfacente punto di incontro tra i
loro bisogni e le competenze disponibili
sul mercato valorizzando l’occupabilità
intesa come un
orientamento del lavo-
ratore
(Van Dam, 2004) favorevole alla
flessibilità, al cambiamento, al rapido
adattamento alle mutevoli richieste e
all’accettazione degli obiettivi organiz-
zativi. Ad esempio, sono messi in primo
piano, come contenuti tipici dell’oc-
cupabilità, la capacità di autogestione
della carriera lavorativa, di autonomo
aggiornamento delle conoscenze e skills
per rispondere prontamente alle esi-
genze del momento e per mantenersi
occupabili nel tempo, di essere capaci
di coinvolgersi nella ricerca di ulteriori
opportunità lavorative nel mercato del
lavoro interno o esterno.
Nel complesso, questi modi di inten-
dere l’occupabilità della persona fanno
perno:
• su caratteristiche ascrittive (ad esem-
pio, età, provenienza sociale, etnia, ap-
partenenza a reti sociali più o meno
ampie e di supporto, ecc.) e sull’attri-
buzione di una delega di responsabilità
alle persone stesse nel cercarsi e man-
tenersi un’occupazione;
• su percorsi formativi e qualificazioni
formali, più omeno corrispondenti alle
esigenze delle organizzazioni;
• su fattori esterni alla persona come: a)
il mercato (ad esempio, il mercato del
lavoro locale, il suo grado di recettività e
apertura); b) fattori organizzativi come
le politiche di reclutamento delle impre-
se che possono o meno aumentare la
probabilità di accesso al lavoro (anche
indipendentemente dalle competenze
della persona); c) il grado di incisività
delle politiche del lavoro nazionali (basti
ricordare al riguardo che nei paesi OCDE
ci sono delle differenze enormi nell’in-
vestimento in politiche del lavoro; ad
esempio mentre in alcuni paesi nordici
come Danimarca, Paesi Bassi e Belgio si
arriva oltre il 2% del PIL in Italia si arriva
a fatica allo 0,4%).
Tutti aspetti sicuramente esplicativi
delle differenze di opportunità lavora-
tive e del grado di difficoltà di accesso
al lavoro di varie categorie sociali, ma
meno sensibili a cogliere il ruolo attivo
della persona nel costruire la sua occu-
pabilità e a individuare modalità efficaci
per sostenerla in tale compito.
VALORIZZARE IL
PUNTO DI VISTA DELLE
PERSONE
Vanno allora richiamati i numerosi
contributi della ricerca psicosociale fo-
calizzati sul
punto di vista degli individui
che risultano sempre più sollecitati ad
assumersi la responsabilità diretta di
gestire le loro storie lavorative basandosi
sulle proprie forze. In questo caso l’
em-
ployability
assume una connotazione
soggettiva non sempre apprezzata da
chi valuta l’occupabilità solo con pa-
rametri economici o normativi o con
orientamenti di natura amministrativa.
Essa corrisponde alle percezioni che le