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SPAZIO APERTO
sità, i meccanismi decisionali assumono
veste nuova. Andreas Schleicher, nella
prefazione ad un recente volume (Oecd
2017), coglie con lucidità la sfida educa-
tiva implicita portata da una metamor-
fosi dei processi decisionali in unmondo
di crescenti interdipendenze, ambiguità,
incertezze, volatilità. C’è ancora molta
strada da fare, ora che abbiamo rico-
nosciuto la necessità di un nuovo mo-
dello educativo e formativo centrato su
quelle competenze di
problem solving,
individuali e collettive, indispensabi-
li alle generazioni future per riuscire a
elaborare, e per tempo, risposte efficaci
rispetto agli usi energetici, ai consumi
di risorse sempre più scarse, alle scelte
di trasporto, alla produzione dei rifiuti e
del riciclaggio. Il passaggio ad un’econo-
mia verde (o blu) richiede conoscenze,
valori e atteggiamenti, competenze,
sia che si considerino i comportamenti
delle “famiglie”sia quelli dei “lavoratori”.
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Investire in questo campo è una priorità
assoluta, non un rimedio opportunistico
per rianimare il ciclo degli investimenti
ancora così depresso dopo la Grande
Recessione del 2008.
Andrebbe sottolineato il fatto che
la posizione etica classica, secondo
cui tanto maggiore è la conoscenza
e tanto più si rafforza la predisposi-
zione a scegliere bene e per il bene,
ha un insidioso avversario a monte:
i meccanismi sociali producono non
solo conoscenza ma anche ignoran-
za e la questione ambientale non fa
eccezione.
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I procedimenti scientifici,
infatti, sono entrati da molto tempo
in stabile interazione con le pratiche
di investimento, di valutazione dei ri-
schi, dell’approccio delle scelte razio-
nali. Come sostiene Lohman (2011), le
iniziative internazionali e nazionali di
policy in tema ambientale sono state
irresistibilmente attratte dalla costru-
zione di un mercato delle emissioni che
sfrutti, trasformandolo artificialmente
in merce, il naturale ciclo del carbonio
della Terra. Si tratta di un evento stori-
co che rappresenta il logico corollario
del dire – come è stato effettivamente
detto e si continua a ripetere - che il
riscaldamento globale altro non è che
il più gigantesco fallimento di mercato
della storia e che, fissando un “prezzo
giusto”, vi si porrà finalmente rimedio.
È improbabile che sia così, ma comun-
que sia bisogna essere consapevoli che
l’introduzione di questo meccanismo
sta condizionando, nel tempo storico
e quindi irrevocabilmente, gli sviluppi
di traiettorie tecnologiche, di orienta-
menti e policy ambientali.
Inoltre, a rendere paradossale lo
snodo epocale di cui siamo testimo-
ni, persiste ed è tuttora assai vitale la
posizione negazionista, che risulta in-
comprensibile, se non nelle sue mani-
festazioni caricaturali, senza tracciarne
la filiazione dal paradigma neolibera-
le,
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secondo cui il mercato con il suo
meccanismo di formazione dei prezzi
è l’unico processore sistemico affida-
bile delle informazioni, una “tecnolo-
gia sociale” di gran lunga più efficace
ed efficiente degli individui presi sin-
golarmente o di ogni altra istituzione
pubblica. Per difetto di complessità
rispetto al fenomenico, nessuna mente
umana o collettiva, infatti, sarebbe in
grado di comprendere veramente cosa
stia succedendo e prospettare quindi
una soluzione, tantomeno di politica
economica. Questo vale anche per le
teorie scientifiche, per le quali non si
dovrebbe porre a criterio di validazione
quello della verità, ma quello del loro
affermarsi nel mercato delle idee. Non
che non siano necessari lo Stato e le
sue agenzie, come sostenuto ai tempi
del
laissez faire
: anzi, ed è la prospetti-
va su governamentalità e bio-politica
aperta da Foucault, è prioritario che
vi sia uno Stato forte che consenta ai
mercati di operare e li patrocini atti-
vamente laddove essi ancora non si-
ano entrati in funzione. Altri autori
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si
spingono oltre, con l’affermare che il
negazionismo sarebbe semplicemente
un espediente tattico per guadagnare
tempo durante la fase di gestazione
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