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generalizzare, ad essere precisi e a
volte serve, ma non sempre. Trovia-
mo del tutto normale chiedere: “
Che
cosa ne pensa la famiglia?
” O “
Cosa di-
cono i suoi insegnanti?
”, ecc.
Se noi facciamo parte di sistemi, al-
lora l’uscire da noi significa entrare
nella dimensione del sistema. E se
pensiamo al sistema come a un “al-
tro” individuo, ecco che possiamo
di nuovo dire che il sistema ‘pensa’.
Questo modello non toglie nulla al-
la nostra bella individualità, sugge-
risce solo che essa è un sistema e
che sono presenti altri sistemi, dei
quali essa è parte.
Ora, prendiamo un
sistema
formato
da docente e discente. In quanto si-
stema, esso “pensa” e al suo interno
non si leggono più emittente e rice-
vente.
L’insegnante e il suo allievo dun-
que, quando formano un sistema,
pensano.
Potremo chiamare tale pensiero: ‘
in-
segnapprendimento
’.
La costruzione di questo piccolo,
semplice modello, e naturalmente
una certa forzatura linguistica, ci
portano ora a pensare all’apprende-
re in un modo alquanto diverso da
quello ‘classico’.
Non esistono più l’insegnare (atti-
vità tipica dell’emittente) e l’ap-
prendere (attività del ricevente), ma
c’è una unità di pensiero. Andiamo
avanti.
Un sistema è riconoscibile perché
tende ad autoriprodursi, in altri ter-
mini un sistema si pone in quanto
‘è’ riconoscibile, grazie alla perma-
nenza di alcune importanti caratte-
ristiche costruite in un continuo
movimento.
Perché il pensiero/sistema ‘
inse-
gnapprendimento
’ sia riconoscibile,
occorre che sia composto da passi
ricorrenti, da venature e coloriture
che lo contraddistinguono, da mo-
dalità sue, tipiche, che lo facciano
essere proprio ‘
insegnapprendere
’ e
non, per esempio, “calcolare”.
In altre parole occorre che si ripe-
ta, che abbia le caratteristiche del
rituale. ‘
Insegnapprendere
’ è un ri-
tuale. Vediamo a che servono i ri-
tuali e avremo un’idea delle ragio-
ni del pensiero ‘
insegnapprendimen-
to
’. I rituali servono a riprodurre e
a perpetuare lo stato di fatto. Essi
sono i mattoni di ogni sistema. I si-
stemi sono in continuo movimento
per la continua costruzione dell’o-
meostasi.
I sistemi si autoriproducono, ten-
denzialmente. Ripetendosi.
L’
insegnapprendere
come pensare ri-
tuale non ha lo scopo di aggiungere
valore al sistema. Non lo arricchi-
sce. Lo perpetua. Fino ad oggi ha
fatto questo.
L’istituzione scuola, la casa del si-
stema ‘
insegnapprendere
’, contribui-
sce con forza alla sua perpetuazio-
ne.
Se il rapporto di potere ha struttu-
rato le modalità interne dell’
inse-
gnapprendimento
, allora il sistema
perpetuerà il potere.
Per essere più radicalmente chiari:
se il sistema avrà sancito la presen-
za di un docente severo e di un ra-
gazzo poco disposto ad imparare,
poco educato o addirittura lento nel
capire, il sistema perpetuerà queste
caratteristiche a meno che una delle
parti che lo compongono rifiuti di
tenerlo in vita. Cosa difficile, ma
non impossibile. Spesso accade,
perché tenere in vita i sistemi forni-
sce di senso la nostra vita.
La questione ora acquista dimen-
sioni anche politiche. Ci può essere
un ‘
insegnapprendere
‘ che esca dalla
casa scuola?
Sembra di no. La scuola è infatti l’i-
stituzione dell’insegnapprendere, e
appena se ne esce si esce dal pen-
siero ‘
insegnapprendere
’. Se ne è
esclusi.
Questo fino ad oggi. Ma ora si dà il
caso che il sistema scuola sia in cri-
si perché siamo all’interno di una
profonda crisi dell’obbedienza.
Il sistema insegnapprendimento
che si è autoalimentato con i suoi ri-
tuali fino ad oggi si basava invece
sulla divisione dei ruoli in modo
fortemente gerarchico. L’obbedien-
za e i saperi comandati stavano alla
base del sistema docente discente.
Ora tali sistemi si vanno guastando.
Il processo evolutivo culturale in at-
to ha reso i tradizionali sistemi do-
cente/discente in gran parte di-
sfunzionali a dare un senso alla no-
stra vita. Il gioco sistemico non ha i
presupposti per la sua riuscita, co-
me è avvenuto in modo apparente-
mente normale (naturale si potreb-
be dire) fino a quasi metà degli an-
ni ottanta.
I sistemi non riescono ad autoali-
mentarsi perché i ragazzi e addirit-
tura i bambini non riconoscono co-
me naturale il ruolo gerarchico su-
periore del docente.
Mi diceva recentemente uno stu-
dente:
Non mi sento a mio agio a scuola per-
ché io vorrei gestire la mia vita con le
mie idee, con le mie forze, mentre a
scuola sento che le cose non sono mie,
non mi riguardano, le sento come im-
poste
.”
Segno dei tempi, di per sé, la frase
detta. Diventa però segno impres-
sionante se si pensa che quello stu-
dente era un bambino delle elemen-
tari: otto anni!
Così, l’
insegnapprendimento
’ del si-
stema insegnante/studente, nel ca-
so del nostro maestra/bambino di
terza elementare, deve mettere in
atto cambiamenti. I sistemi possono
cambiare. Possono inventarsi in
modo nuovo, possono per esempio
Orientamento e scuola
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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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