QUADERNI DI
ORIENTAMENTO 44
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C’è da dire che questa si presenta co-
me la parte più debole del gioco, quella
appunto che forse delude chi si aspetta,
legittimamente, un risultato di tipo com-
petitivo da comparare con altri gruppi
o altre sessioni di gioco. È sicuramente
migliorabile, ma tutto sommato la qualità
del coinvolgimento e della partecipazio-
ne complessivi compensano abbastanza
questa debolezza. In ogni caso il risultato
finale, anche espresso in forma così scar-
na (vele e miglia), si presta ottimamente
come pretesto al facilitatore per dare un
feedback
preciso ed analitico su tutto il
percorso di gioco.
IL GIOCO E
IL DOPO-GIOCO
Siamo così arrivati al dopo-gioco, una
specie di
debriefing
nel quale ripercorrere
assieme tutto il percorso evidenziandone
gli aspetti propriamente attinenti al fare
impresa da un lato ed al farla secondo un
modello cooperativo dall’altro; portando
esempi di situazioni (
case history
, fatti
storici, aneddoti, ecc.) e utilizzando di
volta in volta le singole scene/situazioni
del gioco come elementi di una struttura
narrativa di riferimento.
In quasi vent’anni di vita di Cooper-
game mi è capitato più volte di sentirmi
raccontare, soprattutto in ambiti lavora-
tivi che, dopo aver condiviso tale espe-
rienza tra colleghi, alcune situazioni ed
una parte del linguaggio del gioco erano
entrati nella quotidianità del lavoro e
venivano utilizzati per sottolinearne al-
cuni passaggi significativi. Inizialmente
pensato per i giovani, Coopergame ha
riscontrato un grande successo anche in
ambiti lavorativi, soprattutto nel settore
non profit
, in quanto permette di riflettere
sui fondamentali di una
governance
di
tipo cooperativo, in contesti e situazioni
che molto spesso hanno purtroppo di-
menticato questi fondamentali.
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Cosa succede dunque, durante una ses-
sione di gioco?
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Innanzitutto, il primo
aspetto che stupisce ed in un certo senso
spiazza inizialmente le persone è quello
di dover intervenire sul
setting
: spostare i
tavoli in modo da potersi sistemare
faccia
a faccia
e quindi vedersi in una modalità
nuova e, per certi versi, insolita, introduce
un elemento di
circolarità
tra le persone.
È un po’ come quando dalla solida terra
ferma si sale “a bordo di qualcosa che gal-
leggi”, anche se non necessariamente una
barca a vela, e si passa da una situazione
di equilibrio stabile ad una in cui invece
bisogna continuamente
riassestarsi
.
Il ruolo della barca in questo caso viene
giocato dal
tavolo
, elemento che contem-
poraneamente permette di mantenere
una giusta distanza tra le persone ma che
nello stesso tempo offre a tutti lo stesso
appoggio, permettendo di identificare
chiaramente la differenza tra le singole
individualità e lo spazio comune che si
viene a creare.
Pensandoci bene una sorta di parados-
so: un elemento che marcando i confini
tra le persone (il bordo del tavolo tiene
tutti all’esterno dello stesso) le mantiene
assieme (come una barca le contiene).
Dopo il cambiamento dello spazio di
lavoro (posizione circolare
faccia a fac-
cia
) e sistemazione
attorno ad un tavolo
,
un ulteriore elemento di novità, almeno
rispetto alla consuetudine, è l’invito ad
utilizzare quella particolare modalità di
dialogo in gruppo che va sotto il nome
di “giro di tavolo”.
Abbastanza sconosciuto nel nostro pa-
ese, da non confondersi con le cosiddette
tavole rotonde
inflazionate da troppi, finti,
dibattici politici, il
giro di tavolo
è spesso
confuso erroneamente anche con il
brain
storming
, di cui costituisce invece una im-
portante premessa.
Si tratta “semplicemente” di una moda-
lità per ascoltare, su di un tema preciso, il
parere di tutti.
Quattro sono le regole che garantiscono
un risultato:
1)
disporsi
faccia a faccia
;
2)
individuare assieme il tema
,
o la do-
manda
, su cui ciascuno dovrà poi espri-
mersi;
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