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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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una questione di informazione.
Credo che l’informazione debba
andare nella direzione della co-
scientizzazione e quindi innescare
processi di altro tipo e di altro se-
gnale. Credo che oggi sarebbe più
corretto parlare di orientamento al-
la cittadinanza, come diritto e do-
vere di ogni persona. Una parte di
orientamento alla cittadinanza av-
viene nella scuola e prosegue oltre.
Non credo assolutamente ai model-
li a cascata. Qualcuno che al centro
pensa, poi, dal centro arriva alle re-
gioni, alle province, alle scuole.
Non credo assolutamente a questo
modello, non ci credevo mai e oggi
è un modello risibile perché i pro-
cessi sono esattamente opposti, non
è un processo discendente ma un
processo ascendente. Parte dal bas-
so, dalle realtà. Credo si debba dire
immediatamente che gli orientatori
a scuola sono gli insegnanti, a certe
condizioni. Questo lo dico con
grande chiarezza perché credo che
l’innovazione sia un modello dina-
mico, un modello che parte dall’at-
tivazione nella realtà con un grande
lavoro di terreno, uso questa espres-
sione tipica dell’antropologia cultu-
rale. E credo quindi che dobbiamo
imparare a prendere da pratiche si-
gnificative, costruite, sulle quali si è
avviato un processo sistematico di
riflessione e di problematizzazione.
Non sono solito scrivere ma questa
volta l’ho dovuto fare perché il te-
ma è abbastanza complesso e com-
plicato e quindi non voglio rubare
troppo tempo.
Il titolo provocatorio dell’ultimo li-
bro di Paola Mastrocola ‘La scuola
raccontata al mio cane’ pare voler
dire che ormai dei problemi della
scuola italiana non si riesce più a
parlare se non con un cane fedele
amico dell’uomo. «Mi sembra di
dire cose molto ovvie» dice l’auto-
re, ma oggi siamo in tempi in cui le
cose molto ovvie hanno molto bi-
sogno di essere dette. Un pedago-
gista tedesco, Bresinger, aveva an-
ticipato la chiave di lettura del di-
sorientamento come connotato
della questione formativa. Il suo te-
sto è intitolato ‘L’educazione in
una società disorientata’ e in una
ricerca di quest’anno ha esplorato
il mondo degli insegnanti riferen-
dolo ad una paralizzante paura di
educare. Gli insegnanti sono at-
tualmente molto disorientati e resi-
stenti di fronte a un disegno di
riforma che li ha visti estraniati da
qualsivoglia coinvolgimento, e pa-
radossalmente, vengono chiamati
in causa per applicare la riforma
stessa, rinforzando ancora sempre
paradossalmente, in un contesto di
autonomia, l’esecutività. Governa-
re un processo riformatore, portar-
lo al successo significa governare
la transizione e ciò è molto di più
che eseguire un disegno perché il
cuore di una organizzazione è l’in-
sieme dei significati condivisi che
le persone assegnano al comune
lavoro. La transizione si governa
anzitutto facendo leva sulla parte-
cipazione attiva e sulle capacità di
autotrasformazione
interna. La
scelta del paradigma normativo per
la riforma tende a misurare lo scar-
to tra ciò che è e ciò che deve di-
ventare, trascurando le risorse in-
terne di potenziale trasformativo.
La netta prevalenza di situazioni di
riforma rispetto a situazioni di in-
novazione sembra riconfermare la
tendenza di attendersi che l’inno-
vazione segua alle riforme invece
che anticiparle e prepararle. Ora si
comincia a dire che bisogna prepa-
rare gli insegnanti. Sarebbe stato il
caso di interrogarsi in precedenza
sulla potenzialità di esito trasfor-
mativo. Quali risorse disponibili e
attivabili erano in campo? Poi si
doveva costruire una riforma valo-
rizzando quelle risorse.
All’interno di questi discorsi parte-
cipa un convitato di pietra. Tutti
parlano per lui, di lui, ma non con
lui e lui non c’è e questo è l’inse-
gnante. Lo slogan “punto e a capo”
ha voluto indicare quasi uno stac-
co dai processi di accumulazione
da riattivare in termini di capitale
umano. Cambiare le strutture per
cambiare conseguentemente gli in-
segnanti. Allora, all’interno di que-
sto ragionamento voglio aggredire
il cuore del problema dell’autono-
mia didattica che a mio avviso re-
sta il cuore centrale del processo
di autonomia. Noi stiamo andando
al contorno della questione didatti-
ca ma in realtà ciò che deve cam-
biare è il problema del rapporto in-
segnamento-apprendimento nella
vita ordinaria, quotidiana, delle
classi della scuola. L’autonomia di-
dattica è uno sviluppo poco opera-
tivo delle attività di insegnamento
e di apprendimento in connessione
con la riflessione teorica sulle stes-
se attività e avrebbe dovuto coagu-
lare gli spazi che si sono invece in-
dirizzati verso l’autonomia orga-
nizzativa, dimenticando che la
stessa autonomia organizzativa è
complementare e strumentale e
servente all’autonomia didattica.
Per l’amministrazione si tratta di
una variabile del tutto esterna alla
se noi non andiamo verso una legi-
slazione del lavoro che cerchi al-
meno nel contesto europeo di ren-
dere eguali le normative, gli squili-
bri non potranno che spezzarci al
nostro interno, perché creeranno
inevitabili concorrenze sleali. Quin-
di, occorre mantenere una visione
sistemica, che ricomprenda il valore
anche di altri apporti disciplinari,
scientifici e professionali.
A volte, in passato, la divisione è
stata più politico–amministrativa
che teorico–concettuale ed anche
questa mattina è echeggiato il dua-
lismo tra orientamento scolastico e
professionale, problema che noi ab-
biamo risolto da subito, sostenendo
che non c’è una divisione fra i due
momenti. A volte la divisione può
avvenire inconsapevolmente, per
ignoranza o per un tanto di presun-
zione o confusione. L’improvvisa-
zione operativa si è andata risolven-
do nel corso degli anni, nel senso
che evidentemente c’è una maggio-
re consapevolezza non soltanto
dell’importanza del problema, ma
anche una preparazione diversa per
affrontarlo. Questo è un grosso pro-
blema, di natura comunicativa e di
condivisione del modello che deter-
mina, alla fine, la qualità dell’inter-
vento o del progetto messo in can-
tiere. Esiste un aspetto negoziale
quando si deve produrre comunica-
zione sul modello di intervento che
si va a proporre e soprattutto c’è un
momento di negoziazione quando
si comunicano i risultati di una de-
terminata azione. Il rischio che a
volte si è corso è stato quello di ri-
condurre la nostra psicologia appli-
cata al ruolo ancillare che storica-
mente ha avuto nell’industria. Que-
sto non deve avvenire, nè nel con-
testo scolastico, nè in altri contesti.
Nel modello del Friuli Venezia Giu-
lia possono riscontrarsi le premesse
per fare sistema e creare comunica-
zione fra i sottosistemi che essa
coordina. Questo lo dico perché
l’asse portante di questa esperienza
è data ancora oggi, da quasi trenta
psicologi operanti sul territorio re-
gionale.
Il primo intervento della tavola ro-
tonda è stato quello di
Bruno Forte
,
esperto di politiche scolastiche, che
inizialmente ha voluto definire il
suo intervento
per certi versi dissa-
crante
, precisando che ha alcune
convinzioni da cui parte e non cre-
de all’
ossessione informativa
.
Non credo che il problema dell’o-
rientamento sia fondamentalmente
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