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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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delle persone e non lavora in un’ot-
tica curricolare, in un’ottica longi-
tudinale sull’evoluzione del concet-
to di lavoro, perde uno dei suoi si-
gnificati più rilevanti. Altro punto
da approfondire riguarda l’analisi
degli stili decisionali: alcuni stili
chiaramente disadattivi che condu-
cono a scelte poco vantaggiose per
uno dei fronti principali che l’orien-
tamento deve attaccare. Altro aspet-
to da non sottovalutare riguarda la
modificazione delle idee irrazionali
che molto spesso le persone posso-
no nutrire nei confronti di se stesse,
della formazione e del lavoro.
Occorre stabilire di cosa deve oc-
cuparsi in modo privilegiato l’orien-
tamento. Se deve trattare di tutto,
chiunque può dichiararsi esperto di
orientamento e far passare qualsiasi
attività come azione di orientamen-
to. Possono essere considerate
orientamento le iniziative che pri-
mariamente si propongono la pro-
mozione di offerte formative e lavo-
rative? Il 90% del bilancio delle
università in materia di orientamen-
to viene speso in attività promozio-
nali e di propaganda. Come valutia-
mo l’efficacia dei volantini, degli
spot pubblicitari a proposito dei
vantaggi che le persone ricavano
mettendosi in contatto con questi
spot pubblicitari a proposito dell’in-
fluenza che questi spot possono
avere nei confronti di scelte per lo-
ro effettivamente vantaggiose? La
valutazione in entrata e l’analisi dei
requisiti di accesso una volta si rite-
nevano necessarie per la program-
mazione educativa. Era necessario
conoscere per poter decidere i per-
corsi di insegnamento. Ora vengo-
no utilizzate per poter selezionare
gli accessi. Chiamiamo questa atti-
vità di orientamento? Mi piacereb-
be che almeno da parte degli orien-
tatori ci fosse una risposta chiara a
questo riguardo non del tipo: “si,
ma, dipende da come viene fatta”. È
un’attività proposta alle persone per
aiutarle a scegliere o viene proposta
dai servizi, dalle istituzioni per re-
golare gli accessi? Da che parte sta?
Occorre chiarire fermamente que-
sto aspetto.
Il mio parere rispetto ai rapporti tra
le attività di tutorato e l’orientamen-
to è che spesso confondono il mon-
do, già di per se stesso molto com-
plesso, dell’orientamento. Fortuna-
tamente all’Università di Padova le
competenze del delegato alle atti-
vità di tutorato sono state separate
dalle competenze e dalle deleghe
nei confronti dell’orientamento. Il
tutorato è una importante attività
psicopedagogica di sostegno allo
studio, che avviene in seguito alle
scelte, in presenza di insuccessi ed
ha valenza didattica. Il tutorato do-
vrebbe competere al delegato della
didattica. Serve per rivedere le ipo-
tesi didattiche ed i piani formativi
realizzati. È puro campo di interes-
se degli psicopedagogisti. Le di-
mensioni associate al metodo di
studio correlano sicuramente con le
dimensioni proprie del successo ac-
cademico e con i processi decisio-
nali, ma non necessariamente han-
no rapporti di tipo causale fra loro.
L’attività di selezione professionale
e di inserimento lavorativo sono at-
tività di cui si occupa l’esperto di
orientamento? Le tante attività pro-
poste di collegamento tra formazio-
ne e modo del lavoro a vantaggio di
chi sono? Le esperienze lavorative
che vengono realizzate come ven-
gono scelte? Tra le migliaia di
aziende presenti verso quali si indi-
rizza l’utente? Verso quelle che
hanno maggiori capacità contrat-
tuali con l’università? Si punta sulle
opzioni lavorative o si è al servizio
delle aziende, per consentire loro
di selezionare precocemente il per-
sonale a bassissimi costi, conoscen-
doli prima, conoscendoli nel perio-
do della transizione ?
Tutti questi interrogativi possono
trovare risposta nel codice deonto-
logico che si è dato l’Associazione
Italiana per l’Orientamento: “l’o-
rientatore interviene solamente su
richiesta del cliente e non su ri-
chiesta di agenzie, di scuole, ecc.
In presenza di problematiche non
attinenti a quelle dell’orientamen-
to evita di occuparsene e rinvia la
soluzione ad altri, salvaguarda la
propria autonomia nella scelta di
tecniche degli strumenti e ne è re-
sponsabile. Nei casi in cui le
aspettative e gli interessi dell’uten-
te e del committente dell’interven-
to di orientamento non coincida-
no, l’orientatore si impegna a tute-
lare prioritariamente gli interessi
dell’utente”.
L’università ha una sua vocazione
ben delineata in un contesto di
orientamento: si occupa di ricerca,
di formazione, dovrebbe occuparsi
quando attiva dei servizi, della pub-
blicizzazione di buone pratiche.
Sono molti coloro che vedono nel-
l’università la possibilità di reperire
supervisione e valutazione dei pro-
getti realizzati. Per quanto riguarda
la ricerca in materia di orientamen-
to c’è ancora tantissimo da fare, oc-
corre sciogliere alcuni nodi nei
confronti dei quali le energie dei ri-
cercatori dovrebbero focalizzarsi in
misura molto più consistente di
quanto sta avvenendo. A proposito
della definizione di orientamento,
spesso si utilizzano definizioni di ti-
po ideologico e politico, quando va
bene di tipo economico, non defini-
zioni di tipo operazionale che indi-
cano chiaramente di che cosa ci si
deve occupare, sugli strumenti da
utilizzare e così via.
L’orientamento è composto da nu-
merose dimensioni. La ricerca deve
dimostrare ancora quali di queste
hanno determinanti biologiche o
genetiche. Interessanti lavori di ri-
cerca di questi ultimi anni avanza-
no l’ipotesi che a proposito delle
attitudini, di molti interessi, di mol-
te dimensioni di tipo personologi-
co, di tipo non cognitivo ed emo-
zionale esistano determinanti di ti-
po biologico e genetico. Stimolante
risulta anche studiare la forza del-
l’apprendimento dell’educazione,
nei confronti di queste determinan-
ti. Deve essere ancora stabilito se
vengono prima gli interessi o le
competenze; se viene prima la per-
cezione di auto-efficacia o le aspet-
tative di risultato e così via. C’è an-
cora molto da ricercare e i dibattiti
tra gli operatori dovrebbero servire
anche per fare il punto sullo stato
attuale delle ricerche.
Altro tema in sospeso riguarda la
sperimentazione dell’efficacia dei
pacchetti delle azioni di orienta-
mento, come operazione rigorosa
di valutazione tra prima e dopo, tra
gruppi sperimentali e gruppi di con-
trollo. Le buone pratiche divulgate
e messe a disposizione dovrebbero
contenere indicatori di efficacia e
non solo obiettivi promozionali.
Quali sono i rapporti di costo e be-
neficio associato alle singole azioni
di orientamento, tali da giustificare
gli investimenti che vengono stan-
ziati? La diffusione di una mentalità
valutativa intesa in termini di opera-
zione di raccolta di feed-back che i
dati di ricerca e le applicazioni pos-
sono offrire è un obbligo sia scienti-
fico che deontologico.
Fare formazione significa trasferire
competenze. È chiaro che è più fa-
cile organizzare un percorso for-
mativo quando le competenze che
si ritiene opportuno trasferire sono
possedute dai formatori. Non sem-
pre, purtroppo, questo avviene. Ci
sono molte esperienze di forma-
zione e aggiornamento che non
rendono chiaramente esplicito l’o-
biettivo del loro intervento e che
vengono sprecate, nel senso che
stimolano solamente un aumento