QUADERNI DI
ORIENTAMENTO
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valorizzazione di altri saperi, per co-
struire altre ipotesi su nuovi e vecchi
bisogni.
Questo volume dunque affronta
i vari aspetti del “danno”, della sof-
ferenza del bambino adottivo per
riunirli e consegnarli ad un proget-
to di cura costruito in modo corale,
nell’integrazione tra figure del servi-
zio pubblico e del privato sociale. La
Struttura pubblica, l’associazione di
volontariato “Il Noce”, le diverse pe-
dagogiste, psicologhe e psicotera-
peute, le famiglie adottive, il filoso-
fo, la narratrice di fiabe partecipano
con i loro singolari contributi pro-
fessionali e personali, delineando
un panorama ampio fatto di sentie-
ri umilmente ed appassionatamen-
te cercati intorno all’area della ge-
nitorialità e della filiazione adottiva.
Nella prima parte si snodano gli
interventi teorici che fanno riferi-
mento, per la parte clinica ad impor-
tanti autori post-kleiniani ed anche
all’analisi transazionale. Il pensiero
della “cura” e del “prendersi cura”
ha accomunato i vari interventi e
ha fatto da pensiero guida a queste
esperienze.
Il nucleo centrale di questo pen-
siero della cura nasce dal contatto
quotidiano con le problematiche
dell’abbandono e ruota intorno
al dolore che il bambino adottivo
esprime in vari modi e spesso mol-
to tempo dopo il suo inserimento
in famiglia e che frequentemente
esplode in un disagio profondo nel-
la pubertà.
Per avvicinare ed accogliere que-
sto disagio in questo gruppo sono
stati necessari ”sguardi diversi, dal
filosofo alla narratrice di fiabe”. Il la-
voro si è dispiegato ed ha preso la
forma di un viaggio, un itinerario
condiviso in cui ”
i differenti linguag-
gi si sono integrati attorno ai nuclei
tematici della figura del padre, della
madre, della perdita, dell’abbando-
no”
. La posizione di ogni osservato-
re dentro la relazione è stata soprat-
tutto personale, una testimonianza
viva e partecipata che ha richiesto
coinvolgimento e messa in gioco
delle istanze individuali, in modo
che si attivasse una comune capaci-
tà di mantenersi in contatto con le
proprie richieste interiori.
Credo che il perno e la forza di
questo progetto stia proprio in que-
sto coinvolgimento, questo entrare
in contatto ognuno personalmente
(bambino, genitore e terapeuta),
con lo smarrimento e l’impotenza
che generano il dolore spesso in-
dicibile del bambino abbandonato
che, nel bambino adottato viene
frequentemente offuscato e ma-
scherato dalla felicità dell’inseri-
mento nella nuova famiglia.
Nella seconda parte del libro vie-
ne dato spazio al percorso vero e
proprio che costituisce l’altro aspet-
to interessante di questa sperimen-
tazione e che da questa forte con-
passione trae la sua forza e la sua
ispirazione.
Gli autori stessi ci parlano di un
percorso cercato umilmente e trac-
ciato con fatica in un continuo spe-
rimentare, provare, verificare, tor-
nare indietro, a seconda di come il
gruppo ed il singolo individualmen-
te rispondevano.
Gli strumenti usati con i bambini
che hanno partecipato all’Atelier
sono stati i disegni, i racconti, le fia-
be, assieme ad uno strumento parti-
colare che ha fatto da contenitore e
da metafora durante tutto il proget-
to: la scatola.
Intorno a questa scatola sono stati
avviati percorsi di narrazione, di di-
segno, di gioco, ai quali hanno par-
tecipato tutti, mettendo nella rela-
zione un coinvolgimento non solo
intellettuale, ma anche emozionale
e fisico.
Questa scatola che per parte del
percorso è stata contenitore ed è di-
ventata poi metafora e simbolo dei
pensieri dolorosi così come dei fan-
tasmi e delle emozioni che ognuno
aveva esplicitato, sarà poi distrutta
in un rituale di gruppo.