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ORIENTAMENTO
QUADERNI DI
ORIENTAMENTO 48
I
Affiancare una
generazione senza
esserne il modello
UNA PROPOSTA SUL RUOLO DEGLI
ADULTI IN UN’EPOCA DI CAMBIAMENTI
Stefano Laffi
rapporti tra le
generazioni richiedono
nuovi posizionamenti.
L’adulto deve saper fare
da guida, continuando
a sviluppare la ricerca
o facendo da specchio
ai giovani che hanno
bisogno di capire cosa
fare
Distopie, discronie
Nel recente romanzo di fantascien-
za “
Divergent
”
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la città è in pace dopo
una guerra distruttiva, è protetta da una
cinta che tiene lontane le minacce, e
internamente si regge sul principio della
divisione in cinque fazioni – veri e propri
tipi umani, caratteri - ovvero crede che
la pace sociale si dia solo se ciascuno
fa quello che meglio gli corrisponde.
Così a 16 anni tutti fanno un test, una
macchina rivela a quale fazione appar-
tieni: i “candidi”dicono sempre la verità
e amministrano la giustizia, i “pacifici”
coltivano la terra e procurano il cibo,
gli “abneganti”si dedicano agli altri aiu-
tando chi ha bisogno, gli “eruditi”fanno
gli scienziati, gli “intrepidi” si allenano
per proteggere gli altri. Il giorno dopo
il test c’è la cerimonia della scelta, si può
anche cambiare rispetto all’esito del
test, che quasi sempre coincide con la
fazione di appartenenza dei genitori, ma
una volta scelto non si torna indietro.
Due categorie restano fuori dalla clas-
sificazione che regola tutto: gli esclusi,
che non hanno superato l’iniziazione
alla fazione o ne sono stati espulsi, e i
divergenti, capaci di appartenere a più
fazioni e quindi, destabilizzanti per il si-
stema, da eliminare. Non a caso, gli eroi
della storia sono due ragazzi divergenti.
In un altro recente romanzo,“
La scuo-
la dei disoccupati
”
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, si profila un incubo
diverso, Sphericon. È un campo di ad-
destramento per chi non trova il lavoro,
per chi l’ha perso, è un luogo di rieduca-
zione all’aggressività, alla motivazione,
al cinismo per trovare lavoro, non alle
competenze professionali. Regolata
secondo norme molto rigide, la vita a
Sphericon somiglia a quella di caserma,
la ricerca del lavoro è la nuova guerra,
si è disposti a tutti pur di averlo, è una
lotta senza esclusione di colpi: quando
ad esempio si fa esercizio sugli annunci
dei giornali, non si guardano quelli di la-
voro ma quelli funebri, perché un uomo
che muore è un posto che si libera, e gli
allievi disoccupati dovranno al telefono
provare a subentrare.
L’orientamento come incasellamento
rigido e violento, la ricerca del lavoro co-
me cannibalismo: sono solo due esempi
fra i tanti, la letteratura per ragazzi di
questi anni è ricca di distopie e discro-
nie dove la selezione è il nuovo spettro
sociale, gli adulti non ci sono più, o sono
persecutori, mentre ragazzi e ragazze
lottano per sopravvivere ad una società
“darwiniana”, assurda e ingiusta, crudele
verso più giovani, spesso collassata su se
stessa se non già estinta. Come siamo
arrivati a questo immaginario? Che cosa
ci stiamo dicendo intorno alle paure, ai
fantasmi interiori, a ciò che sentiamo
come minaccia dentro la comunità?
Il futuro nella
prospettiva degli
adolescenti
In un’indagine appena compiuta
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l’agenzia di ricerca sociale in cui lavo-
ro, Codici, ha invitato 30 mila ragazzi e
ragazze compresi fra i 16 e i 21 anni a
raccontarsi, in prima persona, ovvero
condividere esperienze, pensieri, de-
sideri, paure, messaggi, ecc., in forma
anonima ma con l’urgenza di chi scrive
una lettera dal titolo “Quello che do-
vete sapere di me”
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. Ne è emersa una
sorta di autobiografia generazionale e
dall’analisi del contenuto delle circa 900
lettere pervenute è possibile compren-
dere alcuni tratti di quell’immaginario,
con le parole stesse usate dai ragazzi,
qui riportate con il riferimento all’età
e al genere dell’estensore della lettera.
In quelle lettere “futuro” è il primo
sostantivo per ricorrenza statistica: fra
i 16 e i 21 è frequente sentirsi rivolgere
varianti della domanda ‘cosa farai da
grande?’, quindi non è strano che si pon-
gano questioni di prospettiva e non solo
di radiografia del presente, ma il fatto è
che qui ricorre proprio la parola “futuro”
e non tanto l’uso del tempo futuro nella
declinazione dei verbi. Il futuro è un te-
ma, anzi è il tema, è il cruccio di questa
generazione, letteralmente orfana di
uno schermo di proiezione di sé, perché
ragazzi e ragazze sono costretti oggi a
interrogarsi su una prospettiva tutta da
inventare. La generazione precedente
aveva goduto di un percorso evoluti-
vo scandito chiaramente, secondo la
sequenza “prima lo studio e poi il lavo-
ro”, contava su un lavoro coerente con
il percorso di studi e una professione
commisurata per prestigio e reddito agli
anni di studio, e poi a seguire il matrimo-
nio, i figli, ecc. Oggi quella continuità è
rara e altrettanto lo sono la connessione
fra percorso di studi e sbocco professio-
nale o fra quest’ultimo e l’investimento
in anni di studio, mentre il matrimo-
ni e i figli non sono un esito scontato,
nemmeno della coppia. Di più, il lavoro
non è certo, probabilmente non sarà
uno solo, in molti casi non ha oggi un
nome perché richiede una nuova com-
binazione di competenze, forse non lo
si troverà in Italia, per cui si parleranno
altre lingue, ecc.
Quella sul futuro è la domanda che
ragazzi e ragazze si sentono addosso,
alla quale in alcuni casi riescono a da-
re risposta, anche solo come proposi-
ti e desideri, ma che più spesso resta
inevasa, sotto un assedio di incertezze,
dubbi e stati di vera e propria angoscia.
Il problema è che negli adolescenti, fi-
nite le scuole superiori e la situazione
rassicurante di un percorso di anni ben
scandito nelle sue tappe intermedie si
apre una stagione molto più compli-
cata, di scelte che comportano il su-
peramento di test, che costringono a
esporsi rispetto al tema del lavoro, che
sembrano chiudere possibilità perché
ciascuna punta ad una diversa direzione
ma nessuna garantisce il risultato. Nelle
lettere non risultano quasi mai esserci
attività di famiglia da rilevare, mestieri o
corsi di studio dei genitori da replicare,
in breve soluzioni comode e a portata
di mano.
Così alcuni sentono la paralisi, si inter-
rogano incessantemente su cosa fare,
ponderano ipotesi ma non trovano ri-
sposte, sono al momento orfani di un
progetto, di una strada da perseguire.
«Sono una ragazza, ho quasi 20 an-
ni, vado all’ Università e non ho la più
pallida idea di cosa farò. Non si arriva
mai alla fine di un percorso, ti insegnano
sempre che quello che sembra un punto
di arrivo in realtà è un nuovo punto di
partenza... Ma quello che ultimamente
passa per la testa a noi giovani d’og-
gi è solo cercare una motivazione per
portare avanti ciò che stiamo creando:
si parla tanto di futuro, di lavoro e di
possibilità, ma di certezze mai. E for-
se è ciò di cui avremmo più bisogno.
Una preparazione lunga 20 anni e se
sei fortunato imbocchi subito il sentiero
giusto... A volte mi capita di entrare in