Cos'è la biodiversità e come impattano su di essa le IAS

Da un sondaggio effettuato nel 2018 in Lombardia, presso l’Aeroporto internazionale di Orio Al Serio dai Carabinieri Forestali, risulta che il 65% degli italiani non è a conoscenza o ha una conoscenza vaga di cosa sia la biodiversità, mentre il 70% non sa cosa sia il problema delle specie esotiche invasive.

Anche a livello europeo, da un sondaggio della fondazione Gallup del 2007, risulta che solo il 2% della popolazione europea ritiene le specie aliene invasive una minaccia – contro il 60% della popolazione europea che ritiene urgente il problema dei cambiamenti climatici.

Eppure le specie aliene invasive (IAS) sono la seconda causa, dopo la frammentazione degli habitat, della perdita di biodiversità e dei servizi ecosistemici a essa correlati. Assieme ad altre cause quali la deforestazione, il cambiamento climatico, l’inquinamento dei suoli e dell’acqua, determinano su scala globale quella che potrebbe essere una delle più grandi e rapide catastrofi della biodiversità paragonabile alle cinque grandi estinzioni di massa avvenute nel passato geologico.

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Il significato di biodiversità

La convenzione ONU sulla biodiversità (CBD), delineata nel corso del Summit della Terra del 1992 a Rio de Janeiro, definisce la biodiversità come “varietà e variabilità degli organismi viventi e dei sistemi ecologici (sottosuolo, aria, mare e terra) in cui essi vivono”.

La biodiversità rappresenta quindi molto di più del semplice numero di specie che vivono in un luogo e si articola su tre livelli:
a) Biodiversità genetica: differenza di caratteri all’interno di una stessa specie determinata dal patrimonio genetico che caratterizza gruppi di individui con caratteristiche particolarmente affini all’interno della stessa specie (popolazione).
Le popolazioni appartenenti a una stessa specie condividono lo stesso pool di geni e si mantengono più o meno isolate le une dalle altre solitamente per mezzo di barriere geografiche (per esempio: oceani, fiumi, montagne, aree di grandi estensioni).
Sul patrimonio genetico di una specie agiscono la selezione naturale e artificiale ed è alla base di gran parte della biodiversità osservabile oggi.
b) Biodiversità specifica (anche detta tassonomica): ricchezza (numero) di specie o la frequenza delle specie, cioè la loro rarità o abbondanza in un territorio o in un habitat.
Fino a oggi sono state descritte oltre 1.700.000 specie, ma in realtà si ipotizza che possano esisterne oltre 12 milioni: moltissime aspettano di essere scoperte! Tale ricchezza di specie è frutto di un lungo processo di selezione naturale cominciato dopo la fine dell’ultima glaciazione circa 10.000 anni fa e che ha fatto coevolvere, nelle stesse condizioni ambientali, specie vegetali e animali fino a formare complesse reti trofiche ed ecosistemi.
Quando parliamo di biodiversità non dobbiamo pensare a una lista di specie ma a un elenco di specie con delle relazioni tra di loro in uno specifico contesto.
c) Biodiversità ecosistemica: numero e abbondanza degli habitat, delle comunità viventi e degli ecosistemi all’interno dei quali i diversi organismi vivono e si evolvono. (nota bene: la biodiversità ecosistemica è particolarmente importante per capire l’effetto delle IAS sull’equilibrio tra le specie esistenti in un habitat).

La biodiversità quindi rappresenta la varietà incredibile di organismi, dagli esseri microscopici, alle piante, agli animali ed ecosistemi tutti legati l’uno all’altro, tutti indispensabili. Anche l’uomo è parte della biodiversità e usufruisce dei servizi che ci offre: grazie alla biodiversità la Natura è in grado di fornirci cibo, acqua, energia e risorse per la nostra vita quotidiana cioè i servizi ecosistemici.

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Servizi ecosistemici: cosa sono e come vengono suddivisi

I servizi ecosistemici sono quindi i molteplici benefici che l’uomo riceve dalla Natura sotto forma di cibo, acqua, energia e risorse per la nostra vita quotidiana.

Il Millennium ecosystem assessment (un progetto di ricerca che nel 2005 ha cercato di identificare i cambiamenti subiti dagli ecosistemi e di sviluppare degli scenari per il futuro) individua  quattro macro categorie dei servizi ecosistemici:

1. i servizi di fornitura o approvvigionamento: forniscono i beni veri e propri, quali cibo, acqua, legname, fibre, combustibile e altre materie prime, ma anche materiali genetici e specie ornamentali;
2. i servizi di regolazione: regolano il clima, la qualità dell’aria e le acque, la formazione del suolo, l’impollinazione, l’assimilazione dei rifiuti e mitigano i rischi naturali quali erosione, infestanti ecc.;
3. i servizi culturali: includono benefici non materiali quali l’eredità e l’identità culturale, l’arricchimento spirituale e intellettuale e i valori estetici e ricreativi;
4. i servizi di supporto: comprendono la creazione di habitat e la conservazione della biodiversità genetica.

In conclusione, se la biodiversità di un ecosistema è alterata anche l’equilibrio delle relazioni interne è instabile. Il degrado dell’ecosistema compromette la funzionalità dei servizi ecosistemici come il rinnovo dell’aria, dell’acqua, la regolazione del clima, l’approvvigionamento di cibo, i servizi estetici e ricreativi.

Servizi ecosistemici disfunzionali portano a ricadute assolutamente negative a livello sia ambientale che socio-economico, compromettendo il benessere umano.

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L'origine delle specie aliene

Da sempre l’uomo ha spostato piante o animali al di fuori del loro areale naturale in maniera deliberata (piante ornamentali e agricole, animali da compagnia o allevati) o accidentale (ad esempio: semi contaminanti dei cereali).
Per quanto riguarda le piante, la diffusione di specie aliene a opera dell’uomo è cominciata con l’avvento dell’agricoltura, circa 8.000 anni fa quando furono trasportate involontariamente alcune specie infestanti, cioè non gradite all’uomo, dei primi cereali coltivati dalla Mesopotamia all’Europa. Queste specie sono chiamate archeofite e fanno ormai parte della flora autoctona e oggi sono considerate specie indicatrici di un buon agroecosistema (ad esempio: papaveri, fiordalisi, le infestanti della lenticchia a Castelluccio di Norcia).

Tutto cambia dopo il 1500: un altro grosso contingente di piante aliene arriva in Europa dopo la scoperta dell’America e durante l’epoca coloniale. Queste piante vengono definite neofite e in molti casi hanno rappresentato un progresso nella dieta europea come ad esempio i casi della patata, del mais, del peperoncino e del pomodoro.

Anche i filari di gelsi che caratterizzano il paesaggio della campagna friulana sono specie aliene provenienti dall’Asia come piante nutrici del baco da seta, attività che era molto redditizia fino all’ultimo dopoguerra.

Nell’ultimo secolo l’intensificarsi degli scambi commerciali e turistici, dovuti al fenomeno della globalizzazione, hanno accelerato il fenomeno dello spostamento di specie aliene verso e dall’Europa. Molte attività economiche hanno favorito l’arrivo di nuove specie aliene: la navigazione, l’acquacoltura, l’agricoltura, le attività forestali e - negli ultimi anni - il commercio di piante ornamentali e animali da compagnia.

Questi ingenti, globali e frequenti spostamenti hanno permesso il superamento di barriere geografiche (ad esempio gli oceani) che naturalmente sono pressoché invalicabili per quasi tutte le specie. Le specie aliene sono quindi un fenomeno legato alle attività umane.

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Specie aliene in Italia e in Europa: quante sono quelle conosciute

Nel 2008 in Europa si contavano 12.000 specie aliene con un incremento negli ultimi 30 anni del 76%; in Italia se ne contavano oltre 3.000 con un incremento del 96%.

La nuova check-list dei pesci e mammiferi italiani (2020) ci dice che tra le 123 specie di mammiferi presenti, una su otto è aliena; tra i pesci d’acqua dolce (127 specie) è aliena una specie su due.

L’ultima check-list della flora aliena italiana (2018) riporta 1.597 specie aliene (erano 1.023 nel 2010), di cui 221 invasive. In totale 1.440 entità sono archeofite, ovvero introdotte dall’uomo prima della scoperta dell’America, e 157 neofite, di più recente introduzione. Considerando che in Italia ci sono 8.195 entità vegetali native, le specie vegetali aliene rappresentano quasi il 20% della flora italiana.

L’ultima check-list della flora aliena in Friuli Venezia Giulia (2018) riporta 341 specie, pari al 10,5% della flora regionale.

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La strettoia dell'invasività

Però non tutte le specie aliene sono dannose: è risaputo che molte di loro (patata, mais, peperoni, tacchino) sono molto utili all’uomo.

Quando una specie aliena viene trasportata in un ambiente a lei nuovo, le sue possibilità sono:
1. soccombere;
2. vivere con assistenza, ovvero essere coltivata/allevata, riprodursi in ambienti artificiali e protetti (come giardini botanici, zoologici, acquari, serre);
3. attraversare vari stadi di vita più o meno indipendente in natura, ma in modo contenuto e sporadico (ovvero non in vere e proprie popolazioni e inserita nell’ambiente ospitante);
4. adattarsi all’ambiente e - in assenza di antagonisti - crescere senza limiti a scapito della biodiversità locale, ovvero senza riuscire a inserirsi nell’equilibrio dell’e cosistema determinandone la compromissione irreversibile, diventando quindi specie aliena invasiva.

Circa il 10-15% delle specie aliene, introdotte in un ambiente nuovo a loro favorevole, privo di predatori o parassiti, riescono a proliferare indisturbate in modo incontrollato dando vita a delle vere e proprie invasioni biologiche che possono alterare gli equilibri ecologici di interi ecosistemi causando danni alla biodiversità, al paesaggio, alle colture, ai sistemi produttivi e anche alla salute umana con costi elevati, stimati in circa 12 miliardi di euro/anno solo in Europa (dati 2008).
Ci troviamo di fronte alle specie aliene, alloctone o esotiche invasive (Invasive Alien Species / IAS).

I fattori ambientali che favoriscono le intrinseche caratteristiche di invasività di una specie aliena sono
- Il grado di disturbo o di assenza di cura del territorio e le azioni di riduzione e frammentazione degli habitat (espansione urbanistica, agricoltura intensiva, costruzione infrastrutture).
Proprio per questo motivo spesso i centri urbani hanno un ruolo determinante nel favorire insediamento e diffusione di una specie alloctona, in pratica darle la possibilità di diventare invasiva. Questo perché nelle città sono presenti molte piante e animali alloctoni perché utilizzati a scopo ornamentale o per compagnia. Se non vengono gestiti correttamente in tutte le fasi della loro vita possono facilmente passare alla categoria delle specie invasive. Inoltre nei centri urbani si intersecano le rotte commerciali e turistiche (strade, porti, aeroporti) dove gli organismi alloctoni possono arrivare o in quanto oggetto dell’importazione o perché introdotte involontariamente. Infine vi è un’ampia disponibilità di aree che sono poco o punto curate, perturbate, aree dove le specie aliene possono insediarsi e svilupparsi indisturbate (“vivaio fuori controllo”). 
- Il cambiamento climatico in quanto il riscaldamento globale favorisce l’insediamento e l’espansione di specie tipiche di climi caldi anche in Europa, ad esempio pesci marini tropicali trasportati con le acque di zavorra delle navi dal Mar Rosso che riescono a vivere e proliferare indisturbati nel mediterraneo.

Ciò vale anche per le piante, ad esempio la Palma cinese - Trachycarpus fortunei, originaria delle regioni temperate dell’Asia, da molti anni è presente come specie ornamentale nei giardini della regione. Le piante, giunte a maturità, producono dei frutti che sono appetiti dagli uccelli, che a loro volta contribuiscono alla diffusione della Palma cinese nei delicati ambienti umidi naturali. Inoltre il riscaldamento globale sta favorendo l’espansione della Palma cinese negli ambienti naturali anche oltre le Alpi, in Svizzera ad esempio, causando seri problemi alla biodiversità.

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Specie aliene invasive: una questione globale

Le specie aliene invasive non sono una prerogativa europea e si contano moltissimi esempi di specie autoctone europee che, trasportate negli altri continenti, sono diventate invasive e quindi dannose per la biodiversità.
Ecco perchè le invasioni biologiche, causate dall’introduzione a opera dell’uomo di specie originarie di altre aree del mondo, rappresentano una grave minaccia per la biodiversità, seconda solo alla perdita e frammentazione degli habitat.
Negli ultimi quattro secoli le specie aliene invasive hanno rappresentato la prima causa di estinzione al mondo, concorrendo alla scomparsa del 54% delle specie che si sono estinte e rappresentando il solo fattore di estinzione nel 20% di tutti i casi conosciuti di estinzione di specie (fonte ISPRA , 2010).

Esempi 
- La pianta erbacea di origine mediterranea Ammophila arenaria, importantissima per il consolidamento delle dune costiere e ormai rara in Europa a causa della scomparsa del suo habitat, sta invece sostituendo la vegetazione autoctona delle dune litoranee in California, causando così ingenti danni ecologici (fonte ISPRA). 
- L’areale naturale del genere Pinus è l’emisfero boreale ma sono ampiamente coltivati per diversi scopi in numerosi paesi (Sud Africa, Australia, Nuova Zelanda, Cile, Uruguay) dell’emisfero australe a partire dalla seconda metà del XIX Secolo, diventando però tra le più diffuse e dannose specie arboree invasive al mondo: occupano le praterie modificandone ecologia, struttura e composizione specifica; impattano negativamente sui regimi idrici e favoriscono gli incendi. 
- Tra gli animali l’invasione biologica più conosciuta è quella dei conigli selvatici in Australia: introdotti per la prima volta nel XVIII Secolo, la loro diffusione risultò fuori controllo a seguito del rilascio in libertà di alcuni esemplari nel 1856 a opera di un allevatore che amava cacciarli. In questo Continente i conigli trovarono condizioni favorevoli: cibo in abbondanza, nessun predatore e nessun parassita. Di conseguenza iniziarono a moltiplicarsi molto rapidamente e in 50 anni invasero completamente il continente con 600 milioni di individui. I conigli consumando il foraggio degli animali indigeni e impossessandosi delle loro tane provocarono l’estinzione di numerose specie endemiche e perfino della distruzione di interi ecosistemi e costando all’economia nazionale l’equivalente di 350 milioni di euro/anno. 
- Il lombrico terrestre, essenziale nei boschi europei per la decomposizione fogliare, la creazione dell’humus e l’arieggiamento del terreno, è invasivo e dannoso negli ecosistemi forestali del Nord America, privi di lombrichi in seguito all’ultima glaciazione.

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